Il maledetto assassino aveva fatto una cosa buona. E lei aveva un unico rimpianto. Si era persa i pomeriggi in piscina e la noia dei compiti. Davanti allo specchio della sera non avrebbe voluto nessun tempo se non quello presente. Oltre gli errori, oltre i rimpianti. Non il tempo della giovinezza, ma il tempo dei figli, quello lo avrebbe voluto tutto indietro. Senza perdersi un pensiero, un bacio, una litigata, un gioco. il maledetto continuava ad ammazzare, i suoi figli erano tornati a casa. Una specie di regalo, se non ci fossero stati i morti. Uno ormai studiava scienze politiche. Capiva le cose, gliele spiegava. Le litigate. Quando era giovane non le capiva, gli portava il muso per giorni, lo stereotipo della mamma. Nei giorni del covid si era divertita a litigare con lui.
Sfidarlo, rispecchiarsi. E metteva la tavola, riempiva la lavastoviglie, sceglieva un film (quanti film conosceva!!!) e suonava la chitarra. E lei ascoltava. A volte cantava. Da quanti anni non cantava.
Nel recente passato si era persino trovata delle giustificazioni: la voce roca per il fumo, aveva perso due toni per i noduli alle corde vocali, scuse. Per non cantare più. Adesso che l’assassino li aveva chiusi in casa, distanziati tutti, lei era di nuovo vicina alla cosa più bella che aveva avuto dalla vita. I figli. La femmina era uguale a lei. Più la guardava, più si rivedeva. Testarda. Si era iscritta a medicina e non voleva altro. Quella figlia dalle parole forti. Nere. E poi così delicata Con quella testa granitica. Era stato difficile farla rientrare da Tirana. L’ansia, le telefonate all’ambasciata. Gli aerei che non c’erano. Quando hai un figlio in un posto con il mare in mezzo, capisci che potresti imbarcarti sul primo gommone scassato. Che nuoteresti e basta, ma andresti a riprenderla. E lei era arrivata. Come una profuga. a portare allegria. A spiegare come è fatta la spalla, il ginocchio. Il cuore. Si, il cuore. Pulsava di nuovo, Lei c’era. Ecco, era sparita la fretta. Il tempo aveva rallentato. Era l’alba. Poi giorno, poi l’odore del caffè. Intorno al tavolo della cucina.
Per cominciare la giornata. Tutti davanti al pc. Avevano trovato angoli per ognuno. Spostato poltrone, tavoli. Connessioni. E armonia. L ‘ultimo figlio è il più piccolo. 16 anni. Di gioia. Nessuno lo aveva aspettato e lui era arrivato. Occhi marroni e profondi. Quando aveva cominciato a lavarsi, a vestirsi da solo? Anche lui lo aveva perso. In casa. Da solo ogni giorno. Fisso nel suo telefono, nella Play. Scocciato che avessero invaso il posto in cui viveva col gatto. Perché lei tornava solo a dormirci. Ora ha messo di nuovo in funzione il terrazzo. I gerani sono fioriti. Il loro papà, pulisce ospedali. Sa tutto di mascherine, disinfettanti, operai che entrano dove nessuno può mettere piede, tranne il medico che veglia la morte. Quando torna, lascia sulle scale il male che ha visto.
Anche i figli suoi sono tornati. Infine il silenzio. Quanto lo amo. Entra piano piano nelle ossa, apre il respiro. Il silenzio non corre. Ora lo aspetto che venga a svegliarmi. Da vecchia me ne andrò a riposare in un posto lontano. Serena. Ma adesso carezzo mani e piedi che calzano scarpe enormi.
Sempre pronte a farti cadere. Che importa, è un disordine perfetto.