Alla mia città, al mio Paese, a tutti quelli che stanno combattendo ma soprattutto a tutti quelli che non ce l’hanno fatta.

È arrivato impietoso travolgendo. Ci ha tolto le nostre città, ci ha tolto il noi. Ha chiuso tutti nelle case rubando incontri, baci, aperitivi, caffè, cinema,  eatro, lavoro, scuola e libertà.
Ti cammino lenta, con pudore, sentendo sotto i piedi la tua sofferenza. Cerco la vita in questo viaggio nella morte apparente. La tua bellezza è sfrontata e stride nei pensieri affannosi che pulsano da dietro le porte serrate.
Ti cammino lenta sentendo gli sguardi seguirmi dai balconi socchiusi sul sole di primavera. Sento l’operosità di quelle case, dove si è imparato a dilatare spazi e cambiare prospettive. Dove il desiderio di andare per il mondo si appaga navigando la rete e immergendosi nei libri restati troppo a lungo in attesa. Dove si è chiamati a rispondere di cose che non si è fatto in tempo ad imparare. Dove si pratica l’amore nella distanza, unità di misura sconosciuta prima. Dove si impasta, si canta, si balla con i figli e TIK TOK. Dove la nonna cuce con la sua vecchia macchina a pedali, mascherine a fiorellini “perché son meglio di nulla”. Dove i conti non tornano e i capelli diventano bianchi più in fretta. Dove la televisione ci chiede nelle parole di Giuseppe Conte: “Fermiamoci oggi per correre più veloci domani”.
Ti cammino lenta e incontro nei miei passi gli sguardi di chi un lavoro ce l’ha ancora, quell’esercito di angeli che vigilano assicurandosi che “Tutto andrà bene”. Sono occhi smarriti in corpi forti e temprati dalla strada.
I loro mezzi interrompono il tuo battito spettrale: auto e uomini di polizia, esercito, guardia di finanza, municipalità, e sanitari bardati in tute fluorescenti, che non sempre riescono a proteggerli dal mostro che sei.
Ti cammino lenta e dai quartieri sento focolai di vita, che sfidano con l’amore la paura. La loro solidarietà nelle raccolte alimentari che si susseguono copiosamente per non lasciare indietro nessuno. “Chi può metta, chi non può prenda”, lo slogan che accompagna il “panaro solidale”. Solo tu potevi Napoli mia.
Ti cammino lenta con la malinconia del vuoto lasciato dalle assenze, con il desiderio di ritrovare presto la mia città azzeccosa, i fiati sul collo, l’ammuina, le saracinesche aperte, gli attori che declamano sui palchi, gli scrittori che riempiono librerie, la folla che lascia il cinema per quell’ultimo film in uscita, le vetrine piene di sfogliatelle fumanti, i pastori che raccontano le storie vecchie e nuove, i turisti stipati ovunque.
Ti cammino lenta e non mi sento più sola, ho trovato la vita che cercavo nella catena umana sopravvissuta a questa tragedia, l’ho trovata nell’impegno di tutti che diventa anche mio restituendomi la speranza nel cuore ammaccato. L’ho trovata in questo meraviglioso NOI fatto di persone che resistono, aspettando l’alba del giorno di ritorno alla vita, Il giorno in cui, tutti insieme sulla linea, muscoli caldi, aspetteremo quel fischio che ci riporterà dove eravamo rimasti, ma forse, perché no, molto più avanti.

L’autrice racconta la città camminandola: una Napoli silenziosa e bellissima che si lascia sfuggire segreti e battiti. Una lunga passeggiata che restituirà al lettore, la speranza e la fiducia per un nuovo inizio.