«Ho vinto qualcosa?» sorrido alla domanda che mi pongo nel ripensare alle difficoltà superate, come se i punti ottenuti fossero da incollare su un album intitolato “quarantena”.
La mia combinazione di età, patologie e condizione familiare mi ha inserita nei DPR in qualità di ospite d’onore.
In primissima battuta, alle precauzioni confermate solo per i soggetti a rischio, ho alzato la mano: Presente.
Per il controllo delle mie malattie autoimmuni, mi sono recata verso la fine febbraio al COES, acronimo di Centro Oncologico Ematologico Subalpino, equipaggiata di
mascherina e guanti, ho aperto le porte con il gomito, non ho utilizzato il distributore delle bevande. I miei compagni di avventura, in sala d’attesa, si presentavano come me, eravamo consapevoli soggetti a rischio, guardati come marziani al di fuori delle mura ospedaliere, quelli erano gli albori della pandemia e io già avevo iniziato la raccolta punti.
L’8 marzo siamo piombati tutti nella chiusura totale e il mio ultraventennale compagno, residente in un vicino comune, è rimasto a casa sua ed io a casa mia.
Ben ci sta, forse smetteremo di fare i fidanzatini di Peynet, perché finora è stato bellissimo rivederci anche dopo un solo giorno, combinare con un appuntamento di incontrarci al cinema e al ristorante, non appiattire il nostro rapporto con la quotidianità bensì tenerlo vivo con una mia agevole postazione da lui e un’altra sua altrettanto agevole da me.
Alla nostra tenera età ci siamo ritrovati a telefonarci più volte al giorno, come adolescenti in astinenza da incontri, vietati da genitori insensibili al loro sentimento.
È stato per me un isolamento pressocché totale, per me banditi i grossi centri commerciali, la spesa ritirata nel vicino piccolo supermercato, già imbustata, consegnata a distanza di sicurezza con le dovute cautele di disinfezione, mascherine e guanti.
La prima volta mi sono sentita la protagonista di 007 Operazione Coronavirus.
Neppure il diversivo di una scappata in farmacia, per me abituale destinazione di passeggio entro i 200 metri, macché, la consegna dei farmaci per gli immunodepressi era compresa nel servizio.
Un altro punto da appiccicare all’immaginario album della quarantena è rappresentato dalla lontananza dei figli, in altre regioni.
Ho dato loro le ali per volare, uno vive con la famiglia in Lombardia e l’altra con il compagno in Liguria.
E vai con le videochiamate.
Che soddisfazione mettermi il rossetto per apparire in forma ai loro occhi, in assenza della mascherina è possibile utilizzare l’abbellimento che mi e ci sarà negato a lungo per questioni logistiche.
Queste sono soddisfazioni.
Nella raccolta punti inserisco la lontananza dai nipoti, il più grande ha 11 anni, è il figlio di mio figlio, dunque in altra regione, chissà quando lo rivedrò.
Gli altri due di 9 e 7 anni sono i nipoti del mio compagno, i figli di sua figlia, li ho visti nascere, sono anche miei. Li ho rivisti alla riapertura dei comuni, placcati dalla madre nell’attimo in cui mi correvano incontro.
Io sono immunodepressa, la figlia del mio compagno è medico, mia figlia è infermiera, abbiamo l’OMS in famiglia.
Questo è il mio modo di sdrammatizzare la situazione, di stemperare le realistiche preoccupazioni per il virus dilagante e per il paese in ginocchio.
Amo scrivere, ho scritto racconti, ho letto molto, compresi i quotidiani e alla notizia dell’arrivo dell’asteroide ho immaginato di trovarlo in giardino, avrei finalmente completato l’album, allora sì che sarebbe valsa la domanda:
«Ho vinto qualcosa?».