Era un fiore di maggio, lei, e il suo malessere per la primavera rubata era tangibile in ogni capello bianco spuntato, in ogni etto guadagnato, in ogni ruga per i minuti di sonno perso. Era un fiore, sì, ma non un fiore delicato pronto a piegarsi al volere del destino nascosto in un alito di vento. Era un fiore resiliente, lei. Un fior di loto, forse, quieto nell’attesa di sbocciare in mezzo alla melma dell’incertezza. E allora ecco che, dopo i primi attimi di sconforto, all’improvviso tutte le esperienze vissute, tutte le ferite leccate e guarite, tutte le arti imparate e messe da parte esplosero nella sua mente come un tornado. Le tornarono utili dalla prima all’ultima, in quella stagione sospesa dove ogni secondo durava un’ora e ogni ora era lunga un giorno. Un raggio di sole guardato dalla finestra, una telefonata per accorciare le distanze, un cinguettio che si ergeva nitido nel silenzio plumbeo del mondo intorno a lei, tutto si trasformava in sprone per apprendere e risparmiare. Rispolverò ricette succose, acquisì lezioni edificanti, lesse parole toccanti.

Il velo d’ansia imposto dai bollettini pian piano scivolava via, sipario impalpabile sul teatro dell’universo, aprendo uno spiraglio da cui la luce iniziò dapprima a filtrare, e poi a illuminare ogni cosa su cui si posasse.
“Fatti non fummo per viver come bruti” prese a ripetere come un mantra pensando a tutte le futili sciocchezze che aveva rivestito di immeritata importanza fino a quel momento, a tutto il valore di cui aveva denudato gli aspetti imprescindibili dell’essere umani. “Fummo fatti per seguir virtù e conoscenza” diceva, ogni volta un po’ più risoluta. Ora sapeva quale fosse la sua missione: voleva dispiegare le ali nascoste fra le pieghe del quotidiano. Iniziò la catarsi spolverando la soffitta del poi in cui aveva relegato i propri sogni imbavagliandoli con cenci di mai più.

E così, senza nemmeno rendersi conto della velocità alla quale ruotavano le lancette, venne il giorno in cui diede il benvenuto al tempo dilatato, ascoltò la vocina del grillo parlante che le sussurrava “siamo andati troppo avanti, è ora di tornare indietro” e annusò la pioggia dopo l’arsura. Spalancò la porta della semplicità, preparò un pane fragrante e assaporò i colori sopra l’inferno della routine e degli obblighi. Ogni sua cellula prese a vibrare sulle note di melodie da troppo tempo dimenticate, aprì una pagina bianca e cominciò a narrare di persone celate sotto la maschera di centomila personaggi in cerca d’autore. Sorrise all’arcobaleno e prese a scrivere, godendo di ogni lacrima che sgorgava dai suoi occhi stanchi. La stagione rubata era stata ritrovata.