Sto scrivendo questi pensieri in totale isolamento sociale. Fuori c’è il Mostro Invisibile che si diverte a spaventare il mondo intero. E dentro c’è Lei. Si aggira per la casa come un’anima in pena.
La pazienza è il suo pregio. Le si rigenera continuamente, proprio come la coda alle lucertole. La sua ombra mi opprime. Il fruscio della sua veste strisciante sul pavimento di ceramica mi irrita.
Faccio finta di niente, la ignoro volutamente. Intanto il tempo scorre e io, qui, di fronte al computer per lo smart working, mi sento come un malato terminale attaccato alla presa della corrente. PC, tablet, wi-fi e persino lo smartphone non hanno più la resistenza di un tempo, sono sfiniti alle nostre continue attività on-line. La mia vita è appesa a un filo, quello elettrico.
La mia casa si trova nella periferia nord di Cerignola, in Puglia, e dalla mia scrivania osservo il panorama spettrale. Nessuna presenza umana all’orizzonte o nelle vicinanze. Persino i cani hanno smesso di abbaiare. E i gatti, dove sono finiti i gatti? Sono morti d’amore non ricambiato? Il cielo è grigio e l’aria è fresca. Eppure una settimana fa sembrava fosse iniziata già l’estate. Chi se li scorda quei ventidue gradi e la gente fotografata in spiaggia, a prendere il sole in costume da bagno nonostante i divieti di assembramento.
Questo silenzio assordante ci farà ammattire. Usciremo da questa quarantena più esauriti di prima, perché nessuno è abituato a starsene in casa, a poltrire dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina.
E la notte, che dovrebbe essere l’unico momento in cui il cervello stacca la spina anche dalla vita virtuale, in realtà si trasforma in una enorme sala d’attesa per tutti coloro che non riescono più a dormire. Parlo con il letto mentre cerco di mettere in fila pensieri, parole, ricordi, sensi di colpa. Il
tutto per esorcizzare la paura di essere preso per il bavero dal Coronavirus. Portarmelo in casa significherebbe mettere zizzania in famiglia. Mentre scrivo, continuo ad avvertire su di me gli sguardi di chi, ritratto in foto, riempie la parete destra della stanza. E poi c’è Lei, in un angolo, adagiata languidamente alla parete, che mi osserva con finta noncuranza.
Penso alla mia amica Paola, a sua sorella Annalisa, colpite dal covid-19, e alle rispettive famiglie in quarantena fiduciaria, in attesa del tampone. Le lacrime mi appannano la vista ma restano lì, in bilico sul precipizio, come equilibristi tremolanti sulle corde sospese nel vuoto. Penso a chi, in questo momento, sta lottando contro il mostro invisibile, in un letto d’ospedale. Nessun parente o amico può fare loro visita, nessuno può stringere la loro mano implorante conforto. L’unico conforto per loro è l’ossigeno. Vitale rimedio per rimanere ancora su questo nostro pianeta moribondo. La voce gracchiante della televisione scandisce la giornata senza tempo, come i rintocchi di un orologio a pendolo. Il cronista di turno fa la conta degli infettati, dei guariti e dei deceduti. Per fortuna un passero mi distrae dai miei pensieri e dalla mia solitudine. Sta saltellando sul davanzale della finestra. Adesso è fermo. Gira a scatti la sua testolina e spesso si gratta sotto l’ala sinistra. Pare mi stia osservando. Ma che sciocco che sono! Me ne rendo conto solo adesso.
Non guarda me, ma un bruco che si accinge a disegnare uno zig zag sul vaso dei gerani.
“Buon appetito, passero solitario!” gli grido da dietro i vetri. E Lei, incuriosita, si precipita fuori a osservare il panorama canticchiando la sua triste litania.
Almeno per oggi, Lei, la Morte, mi ha risparmiato.