La Partenza

Paolo doveva recarsi a Roma per un convegno; era da parecchi mesi che mancava dalla città che a lui piaceva tanto e l’opportunità gli procurò una frenesia tale che
decise di anticipare la partenza. Invece del volo del lunedì mattina, sarebbe partito la domenica pomeriggio con il treno da Milano. In poche ore sarebbe arrivato a
Trastevere, dove alloggiava e per cena sarebbe andato nella solita trattoria a pochi passi che gli metteva allegria nella sua romanità molto ostentata, anche se sarebbe
stato da solo, come sempre.

Arrivò in stazione con un certo anticipo per gustare un caffè ed acquistare i giornali; il dondolio del treno e la lettura erano per lui un binomio piacevole. Nella carrozza,
dopo aver cercato il suo posto, si accorse subito che la ragazza di fronte sembrava interessante. Un abbigliamento decisamente alternativo ma molto ben combinato nei colori, pantaloni blu dal taglio particolare e sopra una blusa asimmetrica di un tessuto leggero che richiamava nella fantasia il blu elettrico dei pantaloni. Ciò che più colpì Paolo fu il viso della ragazza che non poteva certo definirsi né bello né regolare ma il taglio di capelli, così asimmetrico e la montatura dei suoi occhiali da
vista lo rendevano, almeno ai suoi occhi, decisamente non banale. La montatura degli occhiali, era insolita sia per la combinazione dei colori, dal color avorio delle
asticelle, al nero che circondava le lenti e soprattutto il taglio di queste che ricordavano due piccole ali stile anni cinquanta, davano alla ragazza uno sguardo sofisticato e misterioso.
Paolo iniziò a fantasticare circa la donna che aveva di fronte e pensò che si trattasse, vista la giovane età, di una studentessa. Forse un’allieva di un’accademia d’arte o una studentessa di architettura. Fu lei che involontariamente fermò queste fantasie chiedendo se poteva dare uno sguardo ad uno dei suoi quotidiani. Mentre la ragazza
leggeva, il treno passò in galleria e quasi magicamente i suoi occhiali si illuminarono ai lati con due piccole lucine azzurre. Fu proprio questa circostanza che diede coraggio a Paolo per iniziare una conversazione:

“Non ho mai visto degli occhiali che al cambio della luce si illuminano ai lati” “Sono utili perché permettono di leggere anche al buio”.
“Sì” rispose lei, sono una grande lettrice per cui cerco sempre di rimuovere tutto ciò che può impedirmi questa piacevole attività. La ragazza si alzò gli tese la mano e si
presentò: “Mi chiamo Marion”. “Piacere io sono Paolo” “Lei non ha solo la montatura degli occhiali strana ma anche il suo nome è piuttosto insolito; è forse straniera?”
“No, sono molto italiana, padre milanese e mamma romana, semplicemente i miei genitori mentre mi aspettavano andarono a vedere un film in cui la protagonista, funambola di professione, si chiamava Marion. Appena raggiunsi l’età per capire ricordo che papà mi disse:

“Ti abbiamo chiamato con il nome di una funambola, ci auguriamo tuttavia che la tua vita scorra felice sui binari di un metaforico treno e non sospesa per aria in perenne equilibrio precario”.

“Se mi posso permettere l’immagine che rimanda mi fa pensare ad una Marion più affascinata dalle funi sospese nel vuoto che dai binari, o mi sbaglio?”

“Sono iscritta a Medicina e frequento il quarto anno ma non pensi che sia stato il discorso di mio padre condizionarmi. Certo al Liceo avevo un grande interesse per l’arte in generale, ma sapevo di non aver talento artistico, pertanto ho preferito una scelta che mi permettesse un lavoro sicuro e per l’arte, la bellezza, la poesia c’è sempre il tempo libero. Smettiamola di parlare di me e mi racconti qualcosa di lei.”

“Sono un banalissimo professore di economia e vado a Roma, dove mi capita spesso di lavorare, questa volta per un convegno. I primi anni alloggiavo in anonimi alberghi
vicino alla facoltà, da qualche anno un collega mi presta un piccolissimo appartamento a Trastevere, questa nuova sistemazione ha reso il mio soggiorno romano meno depressivo.”
“Tutto qui?” chiese Marion.
“Ho una compagna che mi accompagna da sempre, l’ho conosciuta in prima liceo e non ci siamo più separati. Figli non ne sono arrivati e non abbiamo indagato circa le
cause. Bastava la battuta di mia moglie, insegnante di una scuola superiore:” “Ci bastano e avanzano i nostri allievi” Chissà se entrambi non abbiamo sempre ingannato noi stessi accontentandoci di questa battuta!

Che strano, pensò Paolo subito dopo, ad una sconosciuta ho confessato una verità che, poche altre volte nella vita, ho dichiarato, anche a persone più intime. Avevano
superato da parecchio Firenze e Paolo pensava a come fosse così insolita Marion, così diversa dalle donne che frequentava e soprattutto non avrebbe mai immaginato
che potesse trattarsi di una studentessa di medicina. Fu Marion che stupendolo ancora una volta gli disse:

“Ha mai visto il film Vacanze romane? Io sto dai miei nonni ma potrei farmi prestare la vespa da mio cugino fingere di essere Audrey Hepburn, passare a prenderla e
girare per Roma”.
Paolo pensò che in vita sua non aveva mai ricevuto una proposta così diretta, soprattutto per l’originalità della persona da cui proveniva e sulle prime si sentì imbarazzato poi, quasi per incanto, recuperò quel sopito senso dell’umorismo e rispose:

“Certo che conosco quel film, lei può competere con la grazia dell’attrice, ha forse qualche kg. in più che le dona decisamente, sono io che ho difficoltà ad identificarmi con Gregory Peck.” Marion prontissima rispose:

“le mancano dai 10 ai 15 centimetri sia in altezza che di spalle ma questi centimetri non sono poi così importanti”.
Paolo ebbe un sussulto di autostima virile, anche questo sopito da tempo e si accorse che l’elegante invadenza di Marion cominciava ad incuriosirlo, così con disinvoltura prese il cellulare e le chiese il numero. Subito dopo, quasi pentendosi le precisò:

“Quando sono a Roma sono molto occupato, temo di non aver tempo per chiamarla ma forse da Milano mi sarà più facile, comunque per me è stato un piacere incontrarla”. Mentre diceva tutto ciò, provò a far squillare il cellulare di Marion, mentre il capotreno stava annunciando l’arrivo a Roma Termini.
Si salutarono stringendosi la mano.

Mentre Paolo aspettava alla corsia dei taxi ripensò al frammento di conversazione avuta prima di salutarsi e si diede del codardo imbecille. A Roma non l’avrebbe
chiamata ma forse da Milano. E certo nella sua città Paolo avrebbe giocato in casa, i paletti che avevano sempre strutturato la sua vita, ma anche in parte ingabbiato i
suoi slanci, erano ben solidi e visibili, tutto concorreva a tutelarlo. Questo non succedeva a Roma dove si sarebbe sentito a rischio. La capitale, città unica e meravigliosa, poteva rivelarsi pericolosamente insidiosa, soprattutto con una ragazza così originale che voleva giocare al remake di Vacanze Romane.
A Milano, una eventuale caduta, sarebbe avvenuta con un paracadute, a Roma la caduta sarebbe stata libera, con le inevitabili e forse disastrose conseguenze. Meglio così pensò anche se la modalità con cui si congedò dalla ragazza continuò a girargli in testa per ore. Poi però la vita va come vuole e Paolo non avrebbe mai immaginato che già il giorno successivo fu proprio lui ad aver bisogno di Marion.

Trastevere

Il taxi si fermò nel piccolo vicolo di Trastevere e Paolo scendendo riconobbe la solita atmosfera familiare. Il suo alloggio era al terzo piano di una palazzina, costruita tra
gli anni 30 e 40 del ‘900. Pochi mq eleganti, confortevoli e curati nei dettagli.
Un’unica zona giorno con una grande vetrata, mentre sulle altre pareti bianche solo grandi fotografie in bianco e nero che esprimevano professionalità in chi le aveva
realizzate, o anche solo scelte. La camera era piuttosto piccola, occupata da un letto alla francese e da un armadio a muro. In bagno trionfava il rosso in tutte le sue sfumature, dalle pareti, alla tenda doccia, agli asciugamani. La parte decisamente migliore dell’appartamento era la terrazza che si apriva dal soggiorno. Si presentava come un grande spazio quadrato con numerosi vasi, un paio di ulivi, un vaso enorme con il fiore della passione, ed un glicine.

Paolo di solito, quando rincasava all’imbrunire, si preparava un drink con del Mgfhartini secco e con la classica oliva. Consapevole di avere gusti superati, forse
più in sintonia con vacanze romane che non agli happy hours attuali, gli piaceva gustarsi quel bicchiere in solitudine al tramonto su di un terrazzo romano ascoltando la voce sgraziata dei gabbiani, o molto più raramente, godere della danza crepuscolare delle rondini. Anche questa volta appena arrivato in casa, con un automatismo scontato prese il cellulare e telefonò ad Ada.

“Ciao come stai? Sono arrivato adesso in casa, il viaggio è andato bene poi ti racconterò.”. L’altra telefonata al collega proprietario della casa che avrebbe visto l’indomani al convegno. Fece la solita doccia nel bagno dove, quando si specchiava, si vedeva rosso e si faceva impressione. Si preparò per andare alla solita trattoria.

Quel locale gli piaceva, sia per l’ottima cucina, sia perché i pochi tavoli esterni erano delimitati da grandi vasi con il gelsomino. Fu accolto calorosamente dal cameriere che gli indicò il posto all’angolo.

“Il solito dottore?” “Certo” rispose Paolo, il solito era l’abbacchio con le puntarelle.
Un cibo così difficile da trovare da altre parti e Paolo poteva per tre sere di seguito mangiare la stessa cosa, sostituendo le puntarelle con i carciofi a seconda della
stagione.

Mentre aspettava si mise a pensare a quell’insolito viaggio Milano –Roma, ed in particolare pensò a Marion. Che strana ragazza! Essendo professore universitario di
ragazze ne aveva conosciute parecchie, ed alcune erano alquanto alternative ma nessuna era simile a lei. Marion sembrava il risultato di una strana alchimia i cui ingredienti erano gioventù, simpatia, sensibilità, intelligenza. Saperla iscritta ad una facoltà quale medicina la rendeva ancora più affascinante, una professione che forse aveva scelto per contenere, o meglio governare, la creatività che in lei poteva essere fonte di sofferenza. Quel viso insolito con la frangetta corta, gli occhiali dalla montatura eccentrica, quelle lunghe gambe sottili, piuttosto storte ma comunque molto sexy, ma quel che più trovava unico in Marion era soprattutto la conversazione. Così originale, ironica che obbligava l’interlocutore, in questo caso lui stesso, a rispondere nello stesso tono.
Aveva quasi dimenticato di avere senso dell’umorismo, Marion lo indusse a liberarsi dei suoi atteggiamenti accademici, della sua rigidità anche verbale. Si era piaciuto, e nello stesso tempo stupito parecchio in questa nuova versione.
La raffinata invadenza di Marion l’aveva non solo divertito ma gli aveva facilitato atteggiamenti che aveva dimenticato da tempo. Paolo cercò di immaginarsi Marion-medico, forse si sarebbe presa cura degli altri sollecitando innanzi tutto le loro potenzialità.

Arrivò il suo meraviglioso piatto e gustandolo dimenticò tutto, Roma, il convegno, Milano e Marion, i suoi sensi erano ormai solo per l’abbacchio e le puntarelle. Pagò
uscì dalla trattoria e come sempre, prima di tornare nell’appartamento, passeggiò fino alla chiesa di Santa Maria in Trastevere, nel tragitto avrebbe fumato il sigaro
prima di rientrare.
La notte fu tuttavia agitata ma soprattutto si svegliò molto presto. Si alzò, fece una doccia veloce nel bagno dove specchiandosi sembrava essersi ustionato durante la
notte e di buon mattino andò al solito bar dove faceva sempre colazione. Anche qui il barista lo riconobbe e lo salutò calorosamente –

“Questa mattina è di turno molto presto professore?” “No, è che non ho dormito molto, così sono uscito prima del solito.”
“Dopo la colazione vuole che le chiami il taxi?” Paolo pensò un attimo e poi disse:

“con il taxi arriverei troppo presto preferisco andare con l’autobus questa mattina.”
“La fermata dell’autobus è proprio in fondo a questa via gli disse il barista, ecco il biglietto”. Paolo salutò ed uscendo provò un insolito interesse pensando di utilizzare
un mezzo pubblico, forse era la prima volta a Roma.

Alla fermata c’erano solo un paio di donne straniere, non più giovanissime e sembravano eritree, dopo solo cinque minuti l’autobus arrivò quasi vuoto. Paolo lasciò salire le due donne e mentre appoggiava il piede destro sul primo gradino sentì che l’altra gamba non riusciva a staccarsi da terra. Un dolore fortissimo alla coscia gli impediva che la gamba sinistra si alzasse. Le due donne eritree cominciarono ad agitarsi dicendo all’autista che un uomo stava male che non doveva chiudere le porte. Paolo era semplicemente stordito, un dolore così forte non riusciva a ricordare quando gli fosse capitato. Sentiva di sudare molto e di perdere le forze. Quando arrivò l’autista gli disse: “se pensa che la cosa sia grave dobbiamo chiamare l’ambulanza, ma se vuole chiamiamo anche un parente”.
Paolo rispose di non essere romano e di non avere parenti in città.
“Non conosce proprio nessuno?” chiese l’autista.
Paolo provò in quel momento un profondo imbarazzo, forse per il modo con cui venne formulata la domanda, ma soprattutto perché in quel momento si sentiva profondamente fragile.

Pensò al collega che gli prestava l’appartamento, ma scartò subito l’idea, già gli prestava l’appartamento non era il caso che gli prestasse anche soccorso, poi pensò al barista ma anche lui non era il caso che venisse disturbato sul luogo di lavoro.
Mentre la mente era impegnata in tutto ciò iniziò a cercare nella tasca destra della giacca il cellulare dove c’era il numero di Marion, allungò il telefono all’autista e gli disse: “Questa è l’unica persona che conosco a Roma, le parli lei per cortesia” . In quel momento anche le parole gli costavano fatica.

Udì l’uomo che diceva: “sono l’autista di un autobus ed un mio passeggero si è fatto male ad una gamba, chiede di lei”.
Dall’altra parte Marion chiese: “Ma chi è la persona.” “Chi devo dire?” Chiese l’autista. Paolo a quel punto si fece dare il cellulare e disse:

“Marion mi scusi, sono Paolo, ricorda ci siamo conosciuti ieri sul treno Milano-Roma, mi è successo non so bene se un incidente o un malore, se potesse raggiungermi qui alla fermata della 94 a Trastevere le sarei molto grato”.

“Ma certo che mi ricordo di lei , Gregory Peck , arrivo subito, il tempo di salire in vespa”.
Mentre chiudeva la telefonata il dolore alla coscia sinistra diventava sempre più forte e costringeva Paolo alla totale immobilità. A quel punto l’autista consigliò di chiamare l’ambulanza.

“Siamo vicini all’isola Tiberina dove c’è un ospedale, penso che l’ambulanza arrivi velocemente, a lei va bene questo ospedale o preferisce che chiami il San Camillo?”
Mentre Paolo rispondeva che preferiva l’ospedale più vicino, vide sbucare dalla via una vespa bianca con a bordo Marion. Sentì la sua voce inconfondibile, secca ma
armoniosa che diceva.
“Quando parlavo di vacanze romane non intendevo esattamente questo, ma se per rivedermi deve farsi venire un malore, allora sono qui”. A Paolo venne quasi da ridere ma il dolore era troppo forte e non ci riuscì, ma le disse, passando al confidenziale tu, forse legittimato dalla sofferenza “Ti sei fatta spuntare le ali per arrivare così in fretta?” “Io no, ma sono spuntate magicamente alla mia vespa”.
“Ehi ragazzina, lei è troppo spiritosa, guardi che il suo amico sta piuttosto male e stiamo aspettando l’ambulanza.”

L’ambulanza arrivò dopo pochissimo tempo e a sirene spiegate. Questo rumore gli ricordò il lontano incidente di calcio, ma in quel caso furono sia l’allenatore ed i suoi
genitori ad occuparsi di tutto, Paolo ora si sentiva totalmente impreparato a quell’esperienza. Marion invece, nonostante la giovane età, sembrava estremamente disinvolta. Parlò subito con i volontari del Pronto intervento spiegando che forse non si trattava di un incidente bensì di un dolore alla gamba sinistra che aveva procurato immobilità. Questo dolore doveva essere molto forte perché, a suo parere, il paziente faceva fatica anche a parlare.

Paolo rimase basito da tanta precisione e sintesi nel descrivere la situazione e le chiese se facesse già tirocinio in qualche pronto soccorso. Lei rispose: “Sapessi quante volte ho chiamato l’ambulanza per uno dei miei nonni, ed anche in casa mia non ci siamo mai fatti mancare guai sanitari, si consideri molto fortunato se alla sua età non ha ancora avuto esperienze di questo genere. ”

Gli infermieri adagiarono Paolo sulla barella, le due signore eritree lo salutarono con la mano e l’autista gli disse buona fortuna. Un infermiere chiese a Marion se saliva “No grazie vi seguo con la mia vespa”. Paolo avrebbe gradito che sull’ambulanza ci fosse anche Marion, in quell’ abitacolo così insolito, si sentiva solo e dolorante, completamente in preda alla paura, ma soprattutto sentiva che la sua vita, così sempre prevedibile, scandita da tempi regolari e rassicuranti si era interrotta, come scardinata da un evento misterioso.

Paolo in quel momento esatto si stava rendendo conto, quanto fosse vulnerabile la vita, ed in particolare la sua; pensò anche ad Ada, forse doveva chiamarla: decise
che lo avrebbe fatto più tardi. Chissà in ospedale un bravo ortopedico avrebbe fatto una manipolazione e la gamba avrebbe iniziato a funzionare. Dopo la visita in pronto
soccorso avrebbe in ogni caso chiamato sua moglie.

L’ ospedale

Quando arrivarono in ospedale la prima cose che vide Paolo fu il casco nero di Marion, non aveva avuto dubbi circa il senso di accudimento della sua nuova giovane amica e la vista dell’esile figura che portava un casco quasi più pesante di lei lo intenerì e lo rassicurò. Anche Marion gli si rivolse in modo più confidenziale:

“Hai visto quanto è vicina l’isola Tiberina a Trastevere?”, Un infermiere, nell’accettazione del pronto soccorso, si rivolse a Paolo facendogli qualche domanda e, sempre guardando il video del computer, invece dei suoi occhi, gli chiese il tesserino sanitario poi decise per il bollino verde. Gli disse se voleva sedersi sulla sedia a rotelle o rimanere sul lettino. Paolo preferì stare seduto. L’infermiere disse
che avrebbero dovuto aspettare nella stanza accanto fin quando il medico l’avrebbe chiamato. L’infermiere si stava comportando come un pilota automatico Paolo
cominciò a domandarsi come mai si sentiva così spaesato, così a disagio in quell’ ambiente e, gli sembrava che non fosse solo il dolore a provocare tutto ciò. Il fatto che fosse sulla sedia a rotelle perché la gamba sinistra non riusciva a poggiarla a terra, lo metteva in uno stato di inferiorità/soggezione? il linguaggio così freddo, piatto dell’infermiere che non era certo il suo modo di comunicare?

Quella era la situazione in cui i suoi ruoli nella vita normale improvvisamente non contavano più nulla, non gli garantivano alcun potere, e non aveva ancora acquisito
il ruolo legittimo del malato. Solo dopo la visita medica questo nuovo ruolo gli avrebbe dato identità, dignità e forse una sorta di potere? La stessa Marion, molto
più giovane di lui, con un look poco in sintonia con l’ambiente sembrava più disinvolta di lui, meno in soggezione, certo lei non era sofferente, ma questo non
spiegava tutto ciò che Paolo provava. E’ quindi la variabile della sofferenza fisica che spiega tutto! Improvvisamente Paolo si accorse di quanto fosse stato fortunato, almeno fino a quel momento. Solo da ragazzino si ruppe una spalla giocando a pallone nell’oratorio del suo quartiere, ma il ricordo sia del dolore, sia dell’ingessatura successiva era sfumato nel tempo. Anche la sua famiglia d’origine
non ebbe grandi esperienze ospedaliere e da quando si era sposato, forse perché figli non erano arrivati, non c’era dimestichezza con l’universo sanitario.

“Se solo Ada fosse rimasta incinta”, pensò Paolo “le scadenze obbligate della gravidanza mi avrebbero abituato a trattare con infermieri e medici ma tutto questo non è successo. E così eccomi qua sprovveduto e maldestro in balia del primo infermiere di turno!”

Paolo si sentiva un bambino in un mondo dove faceva fatica a capire i codici di comportamento e soprattutto sentiva di non avere il minimo controllo su ciò che stava accadendo. Lui, abituato da sempre a governare e non a subire le situazioni, qui percepiva di non aver il minimo potere ed iniziava a comprendere il concetto della vulnerabilità personale.

Era passata più di un’ora quando dal corridoio si sentì una voce baritonale che chiamò; “Il signor Paolo Zigoli si accomodi nell’ambulatorio due” Marion spinse la sedia a rotelle fino all’ambulatorio ma l’ortopedico/baritono la fermò e le disse

“lei aspetti fuori”
“Come sarebbe a dire?” – esclamò Marion “ altre volte sono venuta per i miei nonni e mi avete sempre lasciata entrare”
“Si ma il signor Zigoli non mi pare sia suo nonno” “Non è mio nonno ma è bisognoso quanto lui, non vede che aria persa si ritrova e poi non è neanche romano”
“E questo che significa?” disse il medico “Vorrei vedere lei se si sentisse male in una città che non fosse Roma”. Ci fu solo un incrocio di sguardi. Quest’ultima battuta di Marion lasciò il medico attonito, si fece da parte e la lasciò entrare. Quell’ omone con la voce baritonale ed un corpo
massiccio, con arti e testa grossi che contrasto con Marion!
Lei così giovane, esile, fisicamente quasi fragile e bizzarra con quella frangetta corta e, quegli occhiali dalla montatura folle eppure in quel momento sembrava che tutto ciò le attribuisse molta autorevolezza tale da raggiungere lo scopo. Lo scambio di battute tra il massiccio ortopedico e la sua nuova ed originale amica l’aveva piuttosto divertito facendogli dimenticare, per un solo istante, tutta l’ansia, la paura, l’incertezza che caratterizzavano la situazione da quando era iniziata.

Paolo, pur avendo quasi il doppio degli anni di Marion, si tranquillizzò per la presenza della giovane amica durante la visita e si augurava di uscire da quel luogo con una diagnosi e magari con la soluzione immediata del problema.

Il medico iniziò con una serie di domande il cui fine era tracciare la storia sanitaria del paziente, Paolo rispondendo si rese conto di non essere un soggetto clinicamente interessante, almeno fino a quel momento, poi il medico cominciò a chiedergli cosa era successo qualche ora prima alla fermata dell’autobus. Paolo si
sentiva alquanto confuso nel riferire quegli attimi mentre saliva sulla 94 e continuava a ripetere che secondo lui non c’era stato alcun incidente, semplicemente un dolore fortissimo alla gamba sinistra, che al momento persisteva,
gli impedì di salire sul bus. Non aveva sbattuto contro nulla, semplicemente la gamba destra era già sul primo gradino mentre la sinistra non era riuscita a staccarsi
da terra per il forte dolore, disse anche che in vita sua un simile dolore non l’aveva mai provato e ricordava il grande sudore che l’aveva investito e non riusciva quasi
più a parlare.

“Bene, si sdrai sul lettino” disse il medico, Marion che fino a quel momento era rimasta in piedi in silenzio, si diede da fare per aiutarlo. Anche il medico lo aiutò a sollevare la gamba sinistra e a sdraiarsi. Gli prese la pressione poi iniziò a visitargli le gambe, la sinistra non si alzava di un centimetro!
“In passato è mai successo che la gamba sinistra non si alzasse in questo modo?” Disse il medico “No mai, dottore penso di essere stato fortunato, il mio corpo ha sempre risposto come volevo ai miei desideri, solo da ragazzino ricordo una temporanea invalidità, per la rottura di una spalla mentre giocavo a calcio, ma alla fine anche quella volta il gesso mi procurò quasi più vantaggi, che disagi”.
“Fa sempre piacere incontrare qualcuno consapevole della propria fortuna, non è un atteggiamento molto diffuso”.
“Lo sarò anche questa volta fortunato, dottore?” chiese Paolo.
“Non sono in grado ancora di dirlo perché servono degli accertamenti. Innanzi tutto adesso farà una radiografia alla gamba, poi decideremo”
“Pensa ad un ricovero, dottore? Sa Roma non è la mia città e avrei qualche problema”.
“Questo l’ho capito ma ho anche capito che lei non è in grado di raggiungere Milano in questo momento. Tenga inoltre conto che gli accertamenti si possono fare in due,
tre giorni. Ma poi perché non aspettiamo ciò che ci dice la radiografia, potrà chiarire l’accaduto e non rendere necessario il ricovero”

Paolo dal lettino ritornò sulla sedia a rotelle e spinto da Marion andò nella sala dove gli fecero una radiografia alla gamba, poi gli dissero di aspettare ancora nella sala d’attesa che lo avrebbe chiamato il medico. Quei 45 minuti di attesa sembrarono un’eternità. Paolo, non riusciva a pensare, a ragionare, quasi si fossero bloccate tutte le sue capacità cognitive.
Marion ad un certo punto gli disse: “Non pensi sia il caso di avvisare qualcuno della tua famiglia?” “Mi sono ripromesso di telefonare ad Ada, quando il medico del pronto soccorso mi darà una diagnosi, prima mi sembra inutile”.
Il medico, sempre con il suo vocione chiamò questa volta Prof. Paolo Zigoli, quasi si fosse documentato nel frattempo sul profilo professionale del paziente milanese.

Paolo rientrò nell’ambulatorio e si mise di fronte alla scrivania del medico.
“Professore la radiografia alla gamba sinistra non evidenzia nulla, pertanto sono costretto a ricoverarla per indagare circa questo dolore”.

Paolo, a quelle parole si sentì perso, cercò gli occhi di Marion ma la ragazza di vacanze romane non disse una sola parola.
“Dottore lei pensa che io abbia qualcosa di molto grave?” “Tutti possiamo avere qualcosa di molto grave e allo stesso tempo non avere nulla”. Marion a quel punto, quasi a voler interrompere un inutile circolo vizioso, disse:
“Io abito a dieci minuti da qui e non ti abbandono”. Paolo cominciò a pensare alla parola ricovero che aveva pronunciato l’ortopedico ma soprattutto al fatto di non
aver ancora chiamato sua moglie in una circostanza così drammatica. Certamente non poteva aspettare oltre, così, scusandosi con i presenti prese il cellulare e chiamò Ada.

“Si sono Paolo, non ti spaventare ma ti sto chiamando da un ospedale romano. Ho male ad una gamba e vogliono ricoverarmi per degli accertamenti.” “Non è necessario che prendi il primo treno, puoi aspettare”. Evidentemente Ada aveva deciso di partire subito perché Paolo disse: “Va bene dottore per il ricovero, mia moglie arriva a fine giornata”.
L’accompagnerà in camera un infermiere, ma prima le faccio un antidolorifico in vena, disse il medico.
“Vuoi che vada a prenderti la biancheria nel tuo appartamento?” chiese Marion.
“No, grazie, ci penserà mia moglie quando arriva”. “Mi piacerebbe solo che tu vedessi la camera dove mi sistemano, così se vorrai venirmi a trovare nei prossimi
giorni, non farai fatica.” Marion si limitò a spingere la sedia a rotelle fuori dall’ambulatorio dove c’era già l’infermiere pronto ad accompagnarlo in camera.

Marion gli disse che li avrebbe seguiti solo per vedere il numero della stanza ma poi se ne sarebbe andata subito. L’infermiere acconsentì con un gesto del capo. Presero
l’ascensore e Paolo proprio nel piccolo vano cominciò a capire, e per la prima volta in vita sua, l’estasi che può procurarti una sostanza antidolorifica. Sentiva che il
dolore alla gamba si allontanava, o meglio scivolava fuori dal suo corpo con una dolce gradualità, al suo posto subentrava un benessere lieve ma sempre più consistente, piano piano se ne andava la sofferenza e una quasi felicità prendeva il suo posto.

Quando furono nel reparto il dolore sembrava completamente svanito e a Paolo venne quasi voglia di alzarsi e scappare. Si stupì del grande silenzio che vi regnava, si sentiva solo il cigolio delle ruote della sedia a rotelle, pensò che forse dormivano tutti, oppure erano tutti pazienti terminali, si girò verso Marion e disse “ che silenzio surreale”
“Sì, staranno tutti dormendo” e guardando negli occhi Paolo gli disse: “ Ho detto
dormendo e non morendo!” “Certo” rispose Paolo allibito dall’acuta perspicacia di
Marion. “Oltre ad accudirmi hai deciso di leggermi anche nel pensiero?
Complimenti”

Il ricovero

Giunsero alla camera 8 dove vi erano due letti di cui uno occupato da un anziano immobile che stava con il lenzuolo fin sotto al mento, una presenza inquietante.
Quando Paolo si presentò scoprì che l’uomo, di nome Nicola, aveva 78 anni ed era stato ricoverato per una frattura al femore causata da una banalissima caduta al
circolo delle bocce, questa era la prima versione che diede dell’incidente. Era già stato operato, ma evidentemente l’intervento lo aveva alquanto scompensato perché in altri momenti diceva di essersi fatto male alla gamba perché era stato picchiato dalla moglie.

La camera era piuttosto piccola ma la grande finestra dava sul giardino dell’ospedale, così oltre alle ultime propaggini degli alberi si potevano vedere e sentire stormi di uccelli, forse gli stessi che Paolo vedeva dalla terrazza di Trastevere.
Marion e l’infermiere lo aiutarono a stendersi sul letto e quando Paolo si alzò dalla sedia a rotelle si accorse che il dolore alla gamba stava tornando in tutta la sua
insopportabilità.
“Bene, ora devo proprio andare” disse Marion, gli stampò un bacio in fronte mentre un ciuffo di capelli cadendo sfiorò la guancia di Paolo provocandogli un sottile
sussulto di piacere misto a solletico.
“Non ho parole per esprimere la mia gratitudine e di una cosa sono certo: non ho mai conosciuto una persona come te”. disse Paolo mentre gli stringeva forte la mano. Marion uscì dalla stanza con le sue lunghe gambe, vista da dietro sembrava un fenicottero pronto a spiccare il volo.

L’infermiere indicò a Paolo l’armadietto dove avrebbe messo la sua biancheria, gli mostrò il pulsante per chiamare, lo salutò e se ne andò. Paolo si sentì improvvisamente molto solo, sofferente, chiamò al cellulare la moglie la quale gli disse che tra mezz’ora sarebbe arrivata a Roma. Nicola, il compagno di stanza gli
chiese subito l’ora, e successivamente ad intervalli di 10 minuti gli fece sempre la stessa domanda.
Paolo si rese conto di non aver nulla da leggere, ma poi pensò che la lettura, almeno in quel ambiente ed in quel momento, era l’ultimo dei suoi desideri. Iniziò a guardare fuori dalla grande finestra e si accorse che le foglie della quercia muovendosi si intrecciavano con la luce creando delle strane figure che lo rilassavano. Ricordò un autore, letto parecchi anni prima, quando gli prese la passione ambientalista, che scrisse: “il pollice verde è il prolungamento di un cuore giovane” ed invitava il lettore ad iniziare anche con una pianticella in un piccolo vaso
che può diventare una pianta di fagioli su cui arrampicarsi per aprire un cancello ed entrare in un’altra dimensione del mondo. Già allora quella frase gli piacque molto ma solo oggi, in quella stanza di ospedale e guardando fuori dalla finestra, ne aveva colto fino in fondo il senso. Aveva una grande voglia di dormire senza però riuscirci.

Finalmente sentì dei passi arrivare dal corridoio e riconobbe la camminata di Ada, gli si allargò il cuore. Come sempre pragmatica ed efficiente Ada arrivò con la “valigia sanitaria”, dopo aver salutato affettuosamente Paolo, iniziò a riporre la biancheria nell’armadietto. Volle sapere tutto dell’accaduto e non si accontentò della descrizione del momento in cui iniziò il dolore ma volle un racconto dettagliato del prima e del dopo e senza possibili lacune.

Paolo accennò anche alla presenza di Marion ma scivolò su parecchi dettagli, anzi dalla sua descrizione sembrava che Marion fosse una volontaria dell’ospedale, non
accennò alla conoscenza in treno, al fatto di averla cercata e soprattutto evitò di dirle quanto Marion, nonostante la sua giovane età, fosse stata sollecita e premurosa . Ada sembrava soddisfatta del racconto, aveva perfettamente capito che Paolo non le aveva raccontato tutto della ragazza ma non le sembrava il momento di scatenare inopportune curiosità femminili. Paolo era felicissimo della presenza di sua moglie in quel luogo per lui estraneo ed alienante, ma per la prima volta in vita sua si mise ad osservarla con occhi diversi.

Ada, una bella signora, con portamento elegante anche se un po’ sovrappeso, un viso molto regolare con capelli lisci con qualche filo argentato.
“Che aria perbene ha mia moglie” pensò Paolo, forse è quella pettinatura così classica dal taglio regolare dei capelli, la camicia di cotone rigata bianca e grigia, così
rigorosa, per non parlare dell’immancabile giacca in fresco-lana grigia fa molto bon ton ma zero sex–appeal. Anche la voce, che aveva sempre apprezzato per la
sicurezza e fierezza che trasmetteva, ora gli sembrava un pochino arrogante. Mentre pensava a tutto ciò iniziò a sentirsi in colpa perché era chiaro che stava facendo i
confronti tra Marion ed Ada.
La voce di Ada che gli chiedeva se fosse passato qualche medico lo distolse da quei confronti imbarazzanti.
“No, mi ha accompagnato un infermiere, qui non ho ancora visto alcun medico”.
“Vorrei vederti in piedi, te la senti di scendere dal letto?” “Posso provarci ma da questa mattina non sono più riuscito a caricare sulla gamba sinistra. Ada, quando lo
vide così dolorante reggendosi solo sulla gamba destra, si rese conto della situazione e disse che voleva parlare con un medico. Aiutò Paolo a sdraiarsi e uscì dalla stanza.

Dopo pochi minuti arrivò con il medico di guardia che compilò il solito questionario di accettazione ma alle domande di Ada rispose che non poteva dire nulla, le
indagini, che sarebbero iniziate il mattino successivo, avrebbero chiarito tutto.

Subito dopo, anche se non erano ancora le 19, arrivò la cena. Tutto sul vassoio sembrava dello stesso colore, fu difficile per Paolo, che negli occhi aveva ancora i colori della cena consumata la sera precedente, il verde delle puntarelle e l’ambra scuro dell’abbacchio, avvicinarsi a quel cibo incolore e probabilmente insapore. Ma su insistenza della moglie mangiò quasi tutto. Ada aveva prenotato un albergo vicino all’ospedale, ma non era ancora passata preferendo arrivare subito da lui. Paolo le
disse:

“Puoi andare, come vedi non mi resta che aspettare la notte, ho solo bisogno di una bella dormita”. Salutò Ada la quale disse che il mattino sarebbe arrivata presto.
Subito dopo entrò l’infermiere con una pastiglia per dormire, ma Paolo disse che in vita sua non aveva mai avuto problemi di insonnia pertanto non l’avrebbe presa.
L’infermiere non commentò ma si limitò a lasciare sul comodino la pastiglia, sapendo che il mattino dopo non l’avrebbe più vista.

Calò un insopportabile silenzio e Paolo iniziò ad accorgersi di come il tempo, in ospedale non passasse mai. Ad un certo punto si spensero tutte le lampade e rimase
una diffusa luce azzurrognola.
Stava quasi chiudendo gli occhi quando suonò il cellulare; Paolo pensò immediatamente a Marion, certamente era lei che chiedeva come era andata la giornata. Era invece Ada che gli dava la buona notte. Paolo da quel momento non
riuscì più a rilassarsi, pensava a quanto faticosa e dolorosa fosse stata quella giornata, poi pensava a Marion che non si era più fatta viva neanche con un sms, rifletteva sulla gentilezza di sua moglie che non aveva esitato a salire sul primo treno possibile per correre da lui. Pensava a quanto gli fosse estraneo quel luogo e quanto
fosse maldestro il suo comportamento, pensava poi a come gli sarebbe piaciuto chiudere gli occhi e dormire tante, ma proprio tante ore, ma più pensava a questo
più sentiva che il sonno si stava allontanando. Passò un tempo che sembrò infinito scandito solo dal russare del suo vicino quando Paolo si decise a prendere la pastiglia lasciata dall’infermiere sul comodino. Si stava già quasi innervosendo perché dopo mezz’ora era ancora sveglio quando si accorse di provare una sensazione nuova e piacevolissima. Il sonno stava arrivando e la sensazione che provò gli ricordò la ninna nanna che sua madre gli cantava da bambino per farlo addormentare.

Il mattino seguente Paolo dormiva ancora profondamente quando sentì gli infermieri che chiamavano Nicola per svegliarlo. Aprirono la finestra e, con un tono di voce leggermente più gentile anche a lui dissero che dovevano: fare la stanza.

Nicola chiese agli infermieri l’ora e Paolo si rese conto che in ospedale anche lui guardava spesso l’orologio. Nella vita normale il tempo gli sembrava che non bastasse mai, usava spesso espressioni del tipo: Mi dispiace ma per questa cosa non ho tempo, ci vorrebbero giornate doppie, mi piacerebbe avere più tempo libero Paolo si stava accorgendo che in ospedale il tempo sembrava dilatarsi, il contrario rispetto alla normalità.
Dopo aver fatto la stanza, gli infermieri si occuparono della toilette dei pazienti.
Nicola sembrava perfettamente a suo agio; gli piaceva che mani giovani si occupassero del suo corpo non più giovane, non così per Paolo che visse quel momento con estremo disagio, quasi un’invasione nella propria intimità. Ad un certo punto disse:
“Infermiera ce la posso fare anche da solo” Con grande fatica, perché si sentiva la testa avvolta in una fitta nebbia bianca, forse perché il sonnifero non aveva ancora
smaltito del tutto il suo effetto, prese la spugna se la passò nelle parti più intime.

Prima di uscire gli infermieri dissero. “Bene, adesso faremo i prelievi e poi arriva la colazione”. Per Paolo la colazione era sempre stato un momento felice della
giornata.
Appena sveglio prendeva solo il caffè e la colazione vera e propria la faceva al bar di fronte alla facoltà dove, a suo parere, c’erano le brioches migliori della città, e servite sempre calde, il cappuccino doveva essere tiepido e con il cacao e finiva il tutto con una spremuta di arance. Gli piaceva dare la prima lettura veloce ai titoli dei quotidiani proprio consumando la colazione. Un rito rassicurante che gli faceva affrontare la giornata con leggerezza.

Quando in ospedale arrivò il carrello della colazione per Paolo fu un momento terribile! Un nauseante odore di caffè allungato a dismisura con acqua, ed il latte
non somigliava neanche lontanamente a quello del cappuccino che era solito bere.
Quel piccolo rituale di felicità che era la sua abituale colazione qui si trasformò in un momento tristissimo!
L’ospedale in quel momento somigliava più ad un carcere che ad un luogo di cura.
Paolo, nell’indecisione tra caffè-latte e tè scelse quest’ultimo, gli sembrò il meno peggio.

Dopo la colazione arrivarono i medici in visita. Il primario entrò seguito da altri 4 medici, 3 uomini e una sola donna. Il primario aveva un’aria decisamente supponente anche se era piuttosto bruttino, gli altri 3 medici, molto diversi fisicamente tra loro, si somigliavano in un solo tratto: avevano lo stesso atteggiamento, gli stessi modi di fare del primario.
La dottoressa sembrava invece finta, era un concentrato di tutto ciò che a Paolo non piaceva in una donna. Il suo corpo pareva all’ insegna dell’antigravità, come diceva
Paolo agli amici quando parlava di chirurgia estetica. Il primario chiese:

“Mi dica cosa le è successo e cerchi di spiegarmi il dolore alla gamba,” Paolo, stanco di raccontare l’accaduto sorvolò su una serie di dettagli e cercò di spiegare il dolore
che sentiva alla gamba e quanto questo lo limitasse, soprattutto non riuscendo ad alzarla più di 5 cm. Il medico lo visitò velocemente poi, rivolgendosi più ai colleghi
che non a Paolo disse:
“E’ necessaria una visita neurologica prima di fare altre indagini radiografiche”.
Paolo sentendo la parola neurologia si allarmò e chiese spiegazioni.
“Lei deve solo stare tranquillo, questa è una normale routine”. Gli altri medici non aprirono bocca, solo la dottoressa si rivolse a Nicola per chiedergli come si sentiva e lui rispose: “benissimo”. Poi in fila indiana, così come erano entrati, uscirono dalla stanza.

Paolo iniziò a far confronti tra il suo ambiente lavorativo ed il mondo sanitario.
Anche in Università esiste una gerarchia ed il “capo” è temuto ma la reverenza che aveva notato in questi giovani medici nei confronti del primario gli era parsa decisamente esagerata.

Mentre pensava a tutto ciò entrò Ada con un bollente caffè in tazza. Dopo un paio di sorsi il mondo a Paolo sembrò migliorato improvvisamente. Ada, dopo aver chiesto
come avesse passato la notte e come fosse andata la visita, si mise a raccontare dell’albergo ma fu interrotta dall’arrivo di un infermiere che le disse:

“Signora suo marito questa mattina è pieno di impegni, tra visite ed esami ci vorranno ore, se fossi in lei ritornerei dopo pranzo”.
“Vai pure disse Paolo, ci vediamo nel pomeriggio, chissà che non abbia qualche buona notizia”.
La prima cosa che fece Paolo, quando Ada uscì dalla stanza, fu di controllare il cellulare, si aspettava di vedere un sms o un messaggio in segreteria di Marion.
Nulla. A fine mattinata appena in camera controllò di nuovo il cellulare. Nessun sms da Marion!
A Paolo venne una gran voglia di chiamare la ragazza: “l’utente da lei chiamato risulta al momento irraggiungibile, riprovi più tardi” Paolo non sapeva cosa pensare, gli pareva impossibile che Marion l’avesse così brutalmente cancellato. Solo, avvilito ed anche preoccupato, cominciò a sperimentare, da paziente ospedaliero, il sentimento della noia, categoria esistenziale poco conosciuta da lui, ma che anche nei giorni successivi gli tenne parecchio compagnia. Tra una indagine e l’altra si annoiava mortalmente; si rendeva conto che nella vita normale i diversi ruoli che ricopriva, riempivano la sua giornata.
Per Paolo erano prevalentemente ruoli di tipo professionale, era infatti docente e pertanto impegnato in lezioni ed esami con i suoi studenti, ma anche con i colleghi aveva responsabilità di ricerca e altre mansioni accademiche. Non era padre ma era marito, era ancora figlio di genitori in discreta salute ma anziani. Aveva anche una sorella che aveva tre figli e pertanto era diventato zio. Si mise a pensare a tutto ciò che comportava svolgere i ruoli che ricopriva, o che aveva ricoperto, nella sua vita, da quelli più impegnativi fino a quelli più ameni.

Si rese conto che in ospedale tutto questo non contava, tutto ciò che costituiva la sua identità si era improvvisamente congelato, in ospedale si sentiva senza più “storia”, o meglio la storia si limitava a quella dei suoi sintomi.

Tutti i ruoli normali sembravano sospesi, l’unico invece che rimaneva e dava visibilità, era quello di paziente di un reparto ortopedico nella stanza n. 8, con un persistente dolore alla gamba sinistra al momento ancora misterioso e da diagnosticare.

Nei due giorni successivi Paolo fu sottoposto ad un paio di altre visite e a molti altri esami. I ritmi ospedalieri erano sempre gli stessi. Ada, per quanto gli fosse permesso, rimaneva in reparto da Paolo, ma Marion, in quei 4 giorni non si fece mai viva e mai telefonò.

Il ritorno

La mattina del 5° giorno il primario, con l’ossequioso seguito, entrò nella stanza n. 8 guardò dritto negli occhi Paolo e gli disse:

“Si sarà accorto che in questi giorni ogni sua parte del corpo è stata attraversata da raggi, è stata vista da parecchi specialisti, la diagnosi finale è che lei ha un muscolo della gamba sinistra che si è rotto. La mia ipotesi è che lei abbia subito un trauma non a Roma bensì qualche giorno prima, poi forse per un movimento sbagliato salendo sull’autobus, questo importante muscolo della coscia, il vasto mediale già compromesso precedentemente, si è rotto definitivamente. Purtroppo per i muscoli non è possibile l’ingessatura e quindi andrà a posto da solo con il riposo, con una fisioterapia specifica che farà a Milano. Per noi lei può andare a casa”.

“Ma io non posso ancora appoggiare la gamba a terra senza provare un gran dolore, come posso prendere il treno o l’aereo” disse Paolo.
“Può andare in macchina sempre che non sia lei a guidare”.
“Quindi dottore non ho nulla di grave”.
“Un muscolo che si rompe da parecchio dolore e ci vuole tempo prima che ritorni a posto, ma non è una cosa grave. Cerchi però di ricordarsi cosa può esserle successo
nei giorni precedenti.”

Il primario era stato così chiaro, così gentile che Paolo finì per trovarlo meno brutto e non così supponente come gli era parso all’inizio. Si salutarono ed il primario gli
augurò di trovare un bravo fisioterapista.
Rimasto solo Paolo guardò il cellulare. E non trovando nessun messaggio di Marion chiamò lui per dirle che era stato dimesso ma scattò la segreteria. Chiamò Ada e le
comunicò di essere stato dimesso e con una diagnosi tranquillizzante.
“Mi precipito” disse Ada.

Quando arrivò le raccontò tutto e circa il viaggio di ritorno le disse che la cosa migliore sarebbe stata l’auto.

“Bene, mentre tu aspetti la lettera di dimissioni io vado in albergo e chiedo come fare per noleggiare l’auto, con quella vengo a prenderti e partiamo subito?” “Per me
va benissimo, voglio scappare da Roma il più presto possibile”. Dopo circa un’ora arrivò Ada con un’auto a cambio automatico e con un paio di stampelle appoggiate
sul sedile posteriore.

Che senso di liberazione provò Paolo nel sedersi a bordo dell’auto. E lo dichiarò così:
“Il dolore alla gamba c’è ancora ma quando il dolore ha un nome innocuo fa meno male, ma soprattutto come ti sembra bello il mondo quando esci da un ospedale.”
”E’ quasi l’ora di pranzo” disse Ada, “vuoi che andiamo in qualche trattoria che conosci in città, o preferisci che esca da Roma.”
“Se sei d’accordo preferirei lasciare il centro di Roma, troveremo sicuramente un posto fuori dove fermarci.”
“Anch’io preferisco lasciare presto la città” disse Ada.

Poco prima di raggiungere l’autostrada si fermarono in una trattoria con la scritta I pasti vengono serviti anche sotto il pergolato di glicine.

Il pergolato c’era, il glicine era ormai sfiorito, ma mangiarono bene, il caffè era ottimo ed entrambi fumarono. Per Paolo fu il primo sigaro dopo il ricovero e lo gustò a lungo. Quando salirono in macchina si sentivano leggeri ed allegri, Paolo cercò di sintonizzare la radio su una stazione con buona musica e cominciò a
gustarsi, dal finestrino dell’auto, il paesaggio prima laziale, aspro e rude, poi quello toscano, più morbido e dolce con le colline spesso abbellite dai cipressi scuri ed
appuntiti.

Paolo chiuse gli occhi e cercò di dormire, ma i pensieri, e le forti emozioni lo impedivano. Con la mente percorse ancora l’incontro con Marion in treno, a quando
le telefonò dall’autobus, alla sua amorevole assistenza in ospedale e soprattutto alla sua scomparsa. Paolo non volle soffermarsi su ipotesi tragiche quali lutti, incidenti,
ma era propenso a pensare che Marion avesse scelto di non volerlo più vedere, chissà per quale motivo. Era solo curiosissimo di scoprirlo. Questa esperienza romana era sicuramente una delle più forti che avesse mai vissuto. Il suo cuore, la sua mente, la sua anima si erano scontrati con la vulnerabilità, sia quella fisica ma anche quella più legata alle emozioni. Non aveva conosciuto fino a quel momento, quanto un incidente od un malore potesse renderti così fragile, pieno di paure, incertezze.
La sua vita, si era sempre articolata intorno a due solide coordinate: il lavoro e Ada, due certezze forti poi vi erano le certezze divertenti, come le chiamava lui; viaggiare,
il Natale in famiglia con sorella, genitori e nipoti, le passeggiate in montagna con gli amici, il cinema o teatro.
Ora non era più certo di tutto ciò, l’incontro con Marion, e quel dolore misterioso alla gamba l’avevano fortemente destabilizzato, gli avevano fatto capire quanto tutto possa cambiare nella vita nel giro di pochi minuti.

Si sentiva un uomo diverso. Appena arrivati a casa Paolo assaporò l’odore inconfondibile del loro appartamento, un misto di detersivo per pavimenti e libri, poi quasi automaticamente si avviò alla segreteria telefonica che lanciava segnali intermittenti. C’erano messaggi di colleghi e amici che gli davano il benvenuto, poi:

“Ciao vacanze romane, mi auguro che quando sentirai questo messaggio i tuoi problemi motori siano risolti. La sera stessa che ti ho lasciato in ospedale mi hanno scippato la borsa, con documenti e cellulare. Il mio nuovo numero è il seguente:

Paolo si sentì invadere da una benefica ondata di emozioni, era dunque questo il motivo per cui non aveva più sentito Marion, ed anche i suoi tentativi di chiamarla
fallivano. Che felicità e che bello sentire quella voce. Ada naturalmente chiese:

“forse non mi hai detto tutto di Marion”.
“Poi ti spiego, adesso sono troppo stanco”, in realtà voleva gustarsi in solitudine quel momento.

Andò alla sua poltrona preferita, cercò una sedia su cui poggiare la gamba dolorante, chiuse gli occhi, l’odore di casa nel naso gli mise serenità ma soprattutto, in quel preciso istante, capì che, del sapore agrodolce della vulnerabilità, stava assaporando solo l’infinita dolcezza.