Quarto giorno di quarantena.
Citofona il corriere; aspettavo le mascherine da mia sorella Ludovica… Già: in pieno lockdown, distanziamento sociale, due sorelle che abitano nella stessa città, Napoli,
devono spedirsi le cose.
Del corriere neanche l’ombra, sul tappetino un pacchetto rosso e la scritta “Per Cristina”.
– Non è mio – dice Ludovica – Il corriere ritira domani. Meglio buttarlo…
– No, sono curiosa.
– Pensi a un corteggiatore timido? – gioca mia sorella, per tirarmi su.
– Beh, terribilmente timido, se aspetta una quarantena per farsi avanti!
Scoppiamo a ridere.
– Conservo il pacchetto e mi do alla caccia del mittente misterioso. E’ un uomo, sono sicura; una donna non si muove così.
– E che fai, gli appostamenti? Dove, poi?
– Alla raccolta differenziata della spazzatura!, il punto più ‘social’, adesso.
– Sì – ridacchia Ludovica – Promettimi di non uscire prima di avere la mascherina.
– Certo. Ciao sorella, ti aggiorno.
Non faccio che pensare al pacchetto rosso. Mi aiuta ad allontanare l’angoscia, il disorientamento.
Arrivate le mascherine, subito ne provo una allo specchio: un cane con la museruola. Mi viene da piangere. Non ci devo pensare. La indosso, prendo la cesta della carta, infilo le scarpe e scendo. Non mi va di cambiarmi. Un dettaglio stupido, nella tragedia – ma fa male – è la perdita di ogni tratto di femminilità. Profumo, orecchini, un anello: che segnali di seduzione, se ci si può uccidere con un bacio?
Dall’ascensore esce la signora del quinto piano.
– Buonasera – saluto. Mi risponde con gesto della mano, e non si avvicina ai bidoni in cortile finché non me ne allontano io. Esco in strada; la signora risale in ascensore, perdo un po’ di tempo alla cassetta della posta. Una porta si apre. Qualcuno scende.
Maria, terzo piano. – Buonasera, signora Cristina!
– Ciao bella, come va?
– Eh… è dura chiudersi in casa. C’è anche nonna, meno male che ce la siamo portata, ma dobbiamo stare ancora più attenti!
– Hai ragione.
– Mi manca troppo il mio ragazzo. Tra poco mi fa la videochiamata. Sarebbe venuto per Pasqua, lavora a Milano da novembre, nemmeno a Natale ci siamo potuti vedere. Ho tanta paura – sussurra, e gli occhi le si riempiono di lacrime.
– Dobbiamo essere forti. Ce la faremo, vedrai… Un bacio a mamma e a nonna!
– Grazie… Mi raccomando, per qualsiasi cosa, basta che mi citofona, eh?
– Grazie, Maria, sei gentile!
Mi avvio alle scale, quando ne vedo scendere il simpatico del quarto piano.
Ci incontriamo da anni, scambiamo battute impressioni, mi ha aiutato una volta per la connessione Internet che non andava, e non so come si chiama.
Mi blocco, due passi indietro.
– Salve – dice dall’ultimo gradino con voce, sembra, afflitta. – Sentivo parlare e non ho resistito: amo il silenzio, ma in questi giorni è insopportabile.
Sorrido: – Lo stesso è per me.
Ci guardiamo per un attimo, imbarazzati.
– La sua è la mascherina “altruista”; io porto quella “egoista”.
Scuoto la testa.
– Il mio respiro esce da questa valvoletta, vede? E può raggiungerla; il suo respiro, invece, non può raggiungere me.
Rido – È un medico, un infermiere?
– No… – Mi guarda, sembra prendere fiato e poi – Che ne dici se passiamo al “tu”? Questo “lei” mi sembra così… stupido.
Ridiamo.
– Ciao, sono Cristina.
– Lo so – Fa un passo. – Giorgio – Si china leggermente, e senza smettere di guardarmi, tocca il mio gomito col suo.
Non vedo che occhi più neri e belli.
Restiamo in silenzio per un po’. Non fa male.
All’improvviso chiede – La prima cosa che vorrai fare, quando usciremo da tutto questo.
– Non ho dubbi: raggiungere il mare… E tu?
Sorride: – Lo stesso è per me.