Dopo 2 mesi dall’inizio del famigerato lockdown, è giunto il momento di tirare un respiro di sollievo parziale. Perché se, da un lato, si allenta la maglia delle restrizioni fisiche che hanno impedito di uscire da casa, dall’altro resta il blocco psicologico.
Si sa che la psiche una volta scossa o traumatizzata, tende ad essere più riluttante alla guarigione o almeno più lenta del male corporeo. Così è sempre stato.
Lo stesso Freud, trascorse l’intera vita a studiare l’inconscio ed a dare una spiegazione alle varie reazioni della psiche agli eventi negativi che invadono la nostra vita quotidiana.
Ogni soggetto ha risposte diverse, ma ben pochi sono contraddistinti dalla resilienza.
Questa è una virtù, una capacità che per buona parte è contenuta nel nostro codice genetico, in parte si può acquisire con la reattività alle paure e sofferenze.
Anche le cattive esperienze possono essere favorevoli alla nostra resilienza, se viste in una ottica positiva, di crescita, di sfida. La maggior parte delle persone, però, soggiace, si fa schiacciare dai demoni.
Se si pensasse che la paura è un meccanismo vitale quanto istintivo e che può salvarci da un pericolo incombente, forse l’uomo la ringrazierebbe.
Il confrontarsi con un nemico invisibile, quale il Covid 19, ci ha spiazzati.
Siamo rimasti attoniti, ci siamo sentiti minacciati, senza sapere come difenderci.
Non c’è un elemento fisico a farci del male, ma un microscopico virus che senza farsi vedere, si attacca ai nostri polmoni, si impossessa del nostro organismo e ne decreta la sua morte.
Ma come si permette, cosa vuole questo sconosciuto da noi? La paura prende il sopravvento. Le mura di casa diventano la corazza, lo scudo che protegge e ci rende invincibili.
E ora che possiamo uscire, ora che è stato decretato un graduale ritorno alla normalità, abbiamo paura ad allontanarci, a varcare la porta di casa che ci ha ovattati come un grembo materno.
È come se fuori, proprio dietro l’uscio di casa, ci sia un mostro ad attenderci, che non si nasconde dietro sembianze ammaliatrici, ma si palesa in tutta la sua bruttezza e per giunta con le sue enormi fauci spalancate, pronto a divorarci. Allora la mente insegue un pensiero : come era bella la normalità, quella vita semplice che non ci bastava e che davamo per scontata.
Nella vita nulla è scontato e l’uomo è infinitamente limitato, anche se crede di poter gestire ogni aspetto della propria esistenza.
Non è così e questo virus subdolo ce lo insegna. L’ essere umano deve mettere da parte le sue manie di grandezza, la sua arroganza e rispettare il pianeta che ci ospita, la natura e le sue leggi e smetterla di sconvolgere con le sue attività l’ecosistema.
In quanto ospiti su questa Terra, le dobbiamo gratitudine.
Ma ciò che il virus ha palesato, è il nostro rapporto con la morte. Ci ha messi di fronte ad essa, d’improvviso.
Ogni soggetto non importa se giovane o anziano, già malato oppure in salute, ha guardato la sua vita con altri occhi, ha vissuto ogni istante come se fosse l’ultimo ed ha capito che doveva essere pronto.
L’ essere pronto a morire, richiede del tempo, è necessario elaborare questa ultima fase del nostro cammino terreno.
Ma non c’è tempo, perché questo nemico non lo consente.
Allora la fede ci viene incontro e questo meraviglioso dono dell’ Onnipotente, ci placa e ci rende umili e forti. Ci induce a lottare, ad aggrapparci alla vita, a sperare di farcela, a ringraziarlo di scorgere ogni mattina la luce del sole.
A capire che, in fondo, non siamo noi i padroni della nostra vita.