I Vignaioli Artigiani Naturali sono tornati il 10 e l’ 11 novembre a Roma alla Città dell’Altra Economia, nel quartiere Testaccio. 

Oltre duecento etichette prodotte dalle trentacinque aziende presenti, tra biologiche e biodinamiche, che fanno vini senza lieviti o batteri aggiunti, che non usano additivi o coadiuvanti.   

 VAN, acronimo, appunto, di Vignaioli Artigiani Naturali, è difatti un’associazione composta da oltre 30 vignaioli associati da tutta Italia che condividono uno stile di produzione naturale del vino.

Due sale allestite all’interno del CAE con banchi d’assaggio colorati dalle etichette delle bottiglie tutte dipinte, particolari, divertenti, artistiche, da incuriosire al passaggio.

Gli assaggi hanno al naso la riconoscibilità della lavorazione in naturale, con quel profumo vinoso, di terra, di cantina, anche se non è più sempre una caratteristica così preponderante. Alla vista poi, vini non sempre torbidi, spesso limpidi dai colori vivaci.

È il caso di Mc Calin (Martinsicuro, PE) che ottiene una limpidezza e vivacità dei colori grazie ad un elevato numero di travasi.                                                       Nove i vini in degustazione, tutti regalano una pienezza di bocca. L’eclettico Federico, che si definisce “Terruarista”, lavora 6 piccole vigne che hanno dai 40 a 74 anni. La più vecchia produce Kuve Antica, 80% trebbiano, 20 % passerina. Un vino che ha una coerenza naso bocca e in cui si identifica una spiccata macchia mediterranea e una bilanciata acidità. L’ultimo in degustazione è  l’Alkemiko, 100% Montepulciano, piacevole, persistente, un vero top di gamma…che purtroppo però dall’anno prossimo non sarà più prodotto.

Due banchi più avanti si va in Piemonte da Rural (Montafia AT). Una carrellata di sei vini con etichetta unica, che assicura riconoscibilità. I vini sono tutte espressioni di vitigni autoctoni tra cui l’Albarossa, usata in purezza per il Barbarè, e che regala un’ampiezza di sentori al naso, sentori che ritrovano una ottima corrispondenza in bocca, dove l’acidità tipica del vitigno si esprime pienamente dando una piacevolezza di beva. Molto equilibrato anche Anfora, Freisa 100%, che trascorre appunto un anno in anfora, complice nel domare il tannino del vitigno, rendendolo elegante.

Altra interessante lavorazione in anfora quella Daniele Favaro (Sessame AT) e il suo 20.20, 100% Moscato Bianco che trascorre, appunto, in anfora di terracotta, sia il tempo della macerazione, sia quello dell’affinamento. Circa 6 mesi in totale. Un vino di struttura, con un amaricante che sa di longevità. Daniele, simpatico, sa spiegare in maniera semplice le difficoltà e le sfide della terra e le sue personali storie, come quella della creazione di Erta, il vino che “non dovevo fare per forza”, e che invece è rotondo, ed è un’espressione molto franca della Barbera 100%.

La Casa di Cini (Pietrafitta PG)  attira l’attenzione con un fumetto sul tavolo che racconta tutta la storia di famiglia e delle viti. Lavorano solo vitigni autoctoni dedicati ad ogni varietà, ma i fratelli si stanno aprendo agli alloctoni. Molto interessante è Pronto, il vino del 2024, praticamente un novello, ma non sembra affatto tale, nonostante sia stato vendemmiato a settembre. Un vino che tra macerazione carbonica, diraspatura e un po’ di acciaio, dopo due mesi è già nel bicchiere. Tra le tante proposte, c’è poi Quattroà, un blend di Sangiovese, Ciliegiolo, Canaiolo e Aletico del 2019, un vino da meditazione. Naso ampio e persistenza in bocca, anche piacevolmente abbinabile ad un sigaro.

Dulcis in fundo, dalla Fattoria Lavacchio (Pontassieve FI) c’è il primo Chianti D.O.C.G senza solfiti, Puro, per l’appunto 100% sangiovese, che nel 2010 ha aperto le porte ad un’attività innovativa nella tenuta. Nel bicchiere, semplicemente un Chianti ben fatto!

Elia poi propone una chicca, ancora non uscita sul mercato,  Hattori Ganzo: 100’% Chardonnay, 16 giorni sulle bucce, 4 anni in anfora. È qualcosa che non ti aspetti, con sapori di genziana, rafano. Un vino da meditazione che potremo provare solo a partire dal prossimo anno.

A chiudere anche un progetto straniero.

Seb Winery, cantina a sud dell’Albania, nella zona di Valona, di fronte al Salento che ha proposto 6 vini da vitigni autoctoni, a bacca bianca Shesh i bardhPules,  a bacca rossa Shesh i zi, Kallmet e Vlosh.

Inevitabile voler tentare di ricondurre a profumi conosciuti, per poi apprezzarne le diversità. È il caso dell’ottimo Orange, 100% Shesh I Bardhe che fa 40 giorni di macerazione, e poi un anno in anfora di cocciopesto, per un sorso pieno e inusuale. Bella scoperta anche il Sason, che racchiude le tre uve a bacca rossa principali, Kallmet, Shesh i zi e Vlosh.

Caratteristiche ricorrenti in questi vini, sono sentori macchia mediterranea, sapidità e un’importante spalla acida.

Il bello di tutti i viticoltori incontrati, anche quelli non citati, è che ognuno ha un suo modo produttivo, operando delle libere scelte, ma, e, soprattutto, in questo settore, ciascuno è scopritore di ciò che la natura fa, osservatore di ciò che l’uva può fare in autonomia, scegliendo poche azioni e il recipiente dove lasciarla riposare.

Antonella De Cesare