Elena Ferrante? Un puzzle forse ricostruito a trent’anni di distanza.
Non è la prima, ma non è neanche l’ultima trovata letteraria quella dell’anonimato di Elena Ferrante. Il giornalista Lino Zaccaria sulle orme di tanti suoi predecessori, ma con lo stile e l’esperienza di navigato cronista, con il volume “Elena Ferrante chi è costei” per Graus editore, prova a fare luce sulla celata identità della famosa scrittrice. A vantaggio di questa ricerca le sue profonde conoscenze dei luoghi di ambientazione dei romanzi “L’amore molesto” e “L’amica geniale”, romanzi noti al grande pubblico grazie anche al film di Martone e alla famosa saga Rai. Insomma, quello che ne è venuto fuori è decisamente interessante. Abbiamo quindi deciso di intervistare l’autore facendo qualche domanda in più al nostro caro Lino e dividendo il tutto in due puntate. Un po’ di pazienza quindi…. ma vi assicuro che alla fine ne sarà valsa la pena.
Lino Zaccaria, da dove nasce l’idea di aggiungere oggi un ulteriore tassello alla ricerca di questa identità, che da trent’anni incuriosisce lettori e addetti ai lavori.
- Alla vigilia della messa in onda della terza serie televisiva di L’amica geniale mi ero proposto di presentare l’evento con un articolo per Quotidiano Napoli, il giornale on line al quale collaboravo e collaboro. Stavo scrivendo al computer, e in pochissimi minuti, mi sono accorto che, facendo leva su quanto negli anni avevo introitato sulla querelle riguardante Elena Ferrante-anonimato, avevo scritto più di diecimila battute. Un’enormità. Rinunciai alla presentazione e decisi che era il caso di approfondire. In sostanza tutto nasce grazie a un pretesto occasionale.
Il volume è considerato da molti una documentata inchiesta giornalistica che, come tale, analizza più fonti e più aspetti dell’intera vicenda. Quale di questi ultimi è stato determinante.
- Sì, in effetti il mio lavoro può definirsi un’inchiesta. Leggendo il primo volume di L’amica geniale avevo ritrovato luoghi, vicende, personaggi che facevano parte del mio vissuto giovanile. E che mi avevano riportato a quanto avevo già ritrovato in Via Gemito di Starnone. Proprio questa conoscenza mi ha permesso di andare a scovare nelle pagine della Ferrante, e soprattutto in L’amore molesto e appunto nel primo volume della quadrilogia, ma anche nell’autobiografico La frantumaglia particolari che nei fatti Starnone poteva tranquillamente conoscere, date anche le sue ammesse frequentazioni del Rione Luzzatti. E alcuni passaggi, che sottolineo nel mio libro, probabilmente li poteva conoscere solo lui. La lettura contemporanea dei libri del due autori, ripetuta e quasi assillante, ha poi fatto emergere assonanze, similitudini, affinità e somiglianze di fatti e di circostanze, che hanno dato molto conforto al mio sospetto e alla mia indagine.
Nel volume il quesito tecnico-giuridico deontologico, sulla correttezza o meno di indagare liberamente nella privacy di chi decide di rimanere nell’anonimato. Tuttavia, da giornalista ma anche da lettore, credo sia un diritto conoscere chi c’è dietro uno scritto, fatta eccezione ovviamente per quei contenuti che possono mettere a repentaglio l’incolumità stessa dell’autore.
- Nonostante che io sia tecnicamente “in pensione” non ho certo abbandonato le funzioni e lo status di giornalista. In quanto tale non mi sono venuti meno, non solo la curiosità, ma anche tutti gli obblighi che si accompagnano alla professione. E così come è stato per quanti mi hanno preceduto, mentre indagavo e scrivevo, mi sono posto il dubbio se tutto questo fosse lecito e non comportasse una sopraffazione rispetto al diritto che ha la sedicente Elena Ferrante di restare anonima. Lo stesso discorso valeva per Domenico Starnone, ovviamente. E per la moglie Anita Raja. Esaminate le premesse e rifacendomi al codice deontologico dei giornalisti, alla legge sulla privacy, alla giurisprudenza di Cassazione persino alle pronunce della Corte Costituzionale, ho concluso che il mio lavoro, restando nei limiti della continenza e della pertinenza e trattando di situazioni e di personaggi pubblici, di fama mondiale, rientrava comunque nei limiti e nelle regole della correttezza e rispondeva all’esigenza di dare un risposta a quanti, e sono molti, si chiedono ci sia mai questa Elena Ferrante che per oltre trenta anni, record assoluto, è riuscita a mantenere il segreto sulla sua identità.
Senza voler tener conto del fatto che anonimato e/o contenuti inappropriati opportunamente pubblicizzati (vedi anche il volume “Il mondo al contrario“ del Generale Vannacci) potrebbero alla fine della fiera rivelarsi più remunerativi di ottime pubblicazioni, ma tradizionali. O no?
- La questione del rapporto tra copie vendute e valore letterario dell’opera è antica. In Italia ricordiamo tutti la Storia d’Italia di Montanelli, primatista di incassi e mai accettata dalla critica e dall’accademia. Molto si è discusso, e si discute, sul valore letterario delle opere della Ferrante. L’accusa è che si tratti di libri in serie che rispondono ad una pura operazione di marketing. Può starci. Ma se una scrittrice, o uno scrittore, che sia, vende venti milioni di copie, è pubblicato in 52 paesi e tradotto in 40, checché ne pensino critici e professoroni con la puzza sotto il naso non si può ritenere che al mondo esistano venti milioni di imbecilli che corrono a comprare le sue opere. Ciò premesso non è raro il caso, in un tempo scandito dalla pubblicità del web e dai social, che un libro possa risultare più remunerativo di altri che magari dal punto di vista letterario valgono di più. Ma questa considerazione vale anche per gli artisti, per i filosofi, per i virologi in tempo di pandemia e per i critici d’arte, che sono diventati divi televisivi e che, quando mettono penna su carta, vendono, a prescindere.
Torniamo dalla Ferrante. Tra le ipotesi quella di Domenico Starnone, ma anche della moglie Anita Raja, traduttrice tra l’altro per la casa editrice che pubblica i libri della Ferrante. Ma perché il sospetto anche su una donna?
La risposta di Lino alla prossima puntata…..un po’ di pazienza 😊
Carlo De Cesare