Oggi sono uscito.

Chiamatemi irresponsabile, untore, quel che volete.

Ma vi giuro che non lo faccio più.

Casa mia non è situata in una zona molto frequentata. Anzi: il mio paese non è molto frequentato. È come se fosse un quartiere periferico di Napoli con poco più di settantamila abitanti.

Ma oggi ho avuto una visione abbastanza triste: per un attimo mi è sembrato che quei settantamila abitanti non fossero mai esistiti. Mi sembrava che se ne fossero tutti andati e che io e pochi altri sciocchi fossimo rimasti.

Me l’hanno proposto stamattina i miei genitori, dicendomi: “Se vuoi questo pomeriggio puoi uscire, puoi andare a fare una passeggiata qui intorno, verso le sette”.

All’inizio ero un po’ sorpreso. Poi l’entusiasmo ha preso il sopravvento.

Così nel pomeriggio, dopo una sessione di musica metal, mi infilo i guanti, tiro gli elastici della mascherina per bloccarli sulle orecchie e mi appresto ad uscire. Non prima di farmi assalire da una serie di dubbi del tipo: “Ma ci vuole un documento?” “Ci vuole l’autocertificazione?” “Se gli sbirri mi fermano che dico?”

Ma alla fine riesco a placare questa mia paura ed esco.

Cammino lento per le strade che circondano l’isolato. Sento che c’è qualcosa di viscido che vi scorre. C’è qualcosa che mi spinge a guardarmi intorno, per essere sicuro che non arrivi una pantera a mangiarmi. È troppo calmo. Troppo silenzioso. C’è qualcosa di sbagliato qui. Lo si avverte nell’aria.

“Ho bisogno di musica” penso “Un po’ di sano metal è quel che ci vuole per…” e mi accorgo di aver dimenticato le cuffiette.

E niente. La vita fa schifo.

Mi sembra di camminare in un deserto. Un vasto e desolato deserto fatto di disagio, di paura e di sensi di colpa.

“Pensa se sei contagiato” mi dice la parte responsabile di me “Condannerai a morte tutte le persone che incontrerai!”

“Hai la mascherina e i guanti” mi dice la parte tranquilla di me “Cammina senza paura e assapora le sensazioni che ti investono”.

“Ma sei pazzo? Le sensazioni le può provare quando vuole a casa, che è dove deve tornare immediatamente!”

“Amico, secondo me ti preoccupi troppo. Ha preso le precauzioni necessarie, allora che vuoi? Non rompere!”

“Tu sta’ zitto!”

“Ma chiudi il becco tu! Ma chi ti ha mai chiesto niente?”

“Neanche a te ho mai chiesto niente!” prorompo urlando “Quindi ora state zitte tutti e due e lasciatemi in pace!”

Poi mi accorgo di una ragazza che porta fuori il cane, vestito estivo e occhi un po’ a mandorla, che mi guarda come se fossi diventato matto.

Ma forse è questo che sto diventando. Matto. Ogni giorno resto chiuso in casa come se fosse tutto qui. Come se oltre a casa mia non ci fosse nient’altro. Come se questo fosse l’unico pianeta conosciuto dall’uomo.

Ecco: quando sono uscito mi è sembrato di camminare sul suolo di un altro pianeta.

Forse il metal in cui mi rifugio mi spinge anche a isolarmi ancora di più dal mondo.

E così rientro dalla porta di casa. Il veloce lavaggio di mani non riesce a togliermi la sensazione di sporco che ho addosso.

E così giuro solennemente che non uscirò mai più. Neanche per andare a buttare la spazzatura. Almeno finché non sarà tutto finito.

Perché questa storia finirà.

Vero?