Giovanna Mozzillo, con il suo romanzo “Nient’altro che la vita”, per Franco Di Mauro Editore, ci offre una duplice narrazione: da un lato, un intenso romanzo di formazione e, dall’altro, un affresco vivido della Napoli degli anni Sessanta. Questa combinazione rende l’opera un viaggio emozionante e riflessivo, che ci invita a esplorare le profondità dell’animo umano e le complessità sociali di una città intramontabile.

Raccontato interamente con gli occhi di chi l’ha vissuto, il romanzo descrive i movimenti del ’68 e le sue idee rivoluzionarie, idee che influenzarono non poco la vita politica di quel tempo, e che incisero nello sviluppo personale di tanti giovani come lei.

Un contesto del quale, tuttavia, ancora oggi la protagonista ne percepisce, come allora, le contraddizioni e le ambiguità, non nascondendo una visione critica dell’intero periodo storico.

Un continuo confronto tra sogni idealizzati e realtà, una realtà che non riuscendo a corrispondere alle aspettative, finisce con il creare solo grande insoddisfazione.

Una delusione provocata dalla perenne distanza tra il mondo sognato e quello effettivamente vissuto. Una delusione che diviene sconfitta quando l’esperienza dolorosa di un aborto, mai realmente accettato, le segna profondamente la vita. L’autrice ripercorre la sua storia personale sullo sfondo della storia collettiva del paese e della sua città. Descrive il periodo dell’innamoramento, e del suo incondizionato sì a quel ragazzo che sembrava le avesse aperto le porte di una nuova vita, in una società, sì completamente da ricostruire, ma realizzabile. Un progetto ambizioso, ritenuto erroneamente possibile solo perché condiviso. Sarà proprio questo giovane, simbolo delle speranze e delle aspirazioni del ’68, a introdurre la protagonista alle idee e ai movimenti che caratterizzarono quel periodo storico. Un catalizzatore non soltanto per la sua evoluzione, ma anche per la comprensione di quel mondo circostante, a lei così ostile.  

Tuttavia, nonostante le disillusioni e le inevitabili sfide della crescita, la protagonista intraprende un viaggio interiore che la porta a riconoscere la preziosità della vita stessa.

In parallelo il racconto di una città, Napoli. Quasi un personaggio, che accompagna la protagonista nel suo percorso di formazione.

Da un lato, la borghesia napoletana da sempre arroccata ai suoi interessi personali e poco disponibile al cambiamento, dall’altra il popolo oramai quasi, se non del tutto, assuefatto alla sua precaria condizione sociale. L’autrice, attraverso ambienti e personaggi legati alle classi privilegiate, ne analizza comportamenti e contraddizioni, indagando sulle motivazioni che indussero gran parte degli studenti a contrapporsi a quell’intero mondo, così lontano da loro modo di pensare.

Ma il ’68 napoletano rappresenta, come per altri contesti storici, un caso a sé. Non per disallineamento dal resto della nazione, ma perché il popolo partenopeo ha sempre risposto in maniera diversa agli appelli della storia.

Non a caso l’autrice ne racconta l’estrosità, la saggezza contagiosa, ma anche il dolore, l’umiliazione, la vulnerabilità.

Personaggi e storie comuni che portano con sé una profonda umanità e una capacità di adattamento e sopravvivenza di fronte alle difficoltà, decisamente uniche.

Se siete alla ricerca di un romanzo che sappia coniugare la storia personale con quella collettiva, che vi faccia riflettere sulle grandi utopie e sulle piccole, ma fondamentali, realtà della vita quotidiana, “Nient’altro che la vita” è la lettura che fa per voi. Un libro che ci ricorda che, nonostante tutto, la vita va celebrata e vissuta appieno.

Buona lettura

Mauro Galliano